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Storia del Mobile

               Il Manierismo


                                                      dal 1520-30 al 1630

 

L’origine del Manierismo è da ricercarsi tra Roma e Firenze. Le sue prime manifestazioni sono di ambito pittorico: con Pontormo, Beccafumi, i raffaelleschi ed in particolare con l’opera michelangiolesca. La tendenza manierista, rapidamente diffusasi in Italia, giunse dapprima alla corte di Francesco I a Fontainebleau in Francia, ove operarono numerose maestranze italiane, e finì per investire l’intera Europa, con un “internazionalismo” e una rapidità d’adesione che mai invece riuscì al Rinascimento. In questo periodo si verifica una compenetrazione tra arti maggiori e arti decorative applicate che non trova eguali nei secoli precedenti, domina il motivo “a grottesche”, si predilige il gusto per le forme inusuali e per i materiali preziosi, accresce l’interesse per soggetti desunti dal mito classico o da fonti letterarie, per le pose artificiose o ambigue, con un generale orientamento che più non rivolge il suo interesse per le forme della natura, come fu invece nel rinascimento, ma piuttosto alle opere insigni lasciate dai grandi artisti come Leonardo, Raffaello e Michelangelo. 

 

 

 

                                                                  Il Barocco
 

                                                       dal 1630 agli inizi del Settecento

 

Il termine, deriva dal fonema barrueco spagnolo o barroco portoghese e letteralmente significa “perla informe”. Già intorno alla metà del Settecento in Francia era sinonimo di ineguale, irregolare, bizzarro, mentre in Italia la dizione era di memoria medioevale e indicava una figura del sillogismo, un’astrazione del pensiero. Ebbene, a partire dalla critica neoclassica e fino a non molti decenni or sono, si volle identificare questo periodo storico con il termine dispregiativo di “barocco”, riconoscendovi in esso stravaganza e contrasto con i criteri di armonia e di rigore espressivo cui si intendeva tornare sotto l’influenza dell’arte greco-romana e del Rinascimento italiano. “Barocco”, “secentista” e “secentismo” furono sinonimi di cattivo gusto. 
Oggi, in tempo di revisionismo storico, si è ampiamente rivalutato questo momento storico-artistico, evidenziandone le peculiarità espressive e le grandi personalità che ne favorirono la diffusione, dal Bernini al Borromini, a Pietro da Cortona, con riferimento all’ambiente romano. Vi si riconosce l’inizio intorno all’anno 1630, allorché la Chiesa, trionfando sull’eresia, sentì la necessità di rappresentare la propria ritrovata potenza con fasto autocelebrativo. L’oratoria artistica si rivelò idonea a rappresentare l’inimmaginabile: scenografie complesse, sfondi incommensurabili, atmosfere turbinose e ultraterrene, prive di limite. Decorazioni e architetture di questo periodo ben esprimono il senso illusionistico dell’infinito: in contesto storico l’artista poté esprimersi con libertà e fantasia immaginifica, ed è pur vero che se in taluni casi si degenerò in vuota retorica, in altri l’arte si avvicinò alla poesia. In breve, il Barocco dalla città eterna dilagò in Europa, celebrando la Chiesa quanto la potenza dei principi, permeando tutte le sfere dello scibile artistico, fin nelle sue manifestazioni più modeste o popolari.

 

 

 

                                

                                                                 Stile Luigi XIV
 

                                                     dalla metà del XVII secolo al 1715
  
Con l’avvento al trono di Francia del Re Sole, si accentua la visione classicistica dell’arte, in evidente contrasto con le tendenze più appariscenti del barocco romano imperante in Italia. Per meglio comprendere il mutare del gusto alla corte di Francia, che fino a pochi decenni prima importava dall’Italia tendenze e artisti, basti pensare al clamoroso fiasco che il massimo genio del barocco italiano ebbe poi a patire quando, nel 1665, fu ricevuto con grande onori regali al cospetto di Luigi XIV. Ebbene, Gian Lorenzo Bernini non riuscì a imporre il suo sfarzoso progetto per l’erigenda nuova facciata del Louvre, si preferì optare per una soluzione più tradizionale, dovuta in gran parte a Claude Perrault.  
Classicismo Barocco
Tuttavia, in questo periodo, anche per quanto pertiene la mobilia, con giusta ragione si può parlare in generale di “classicismo barocco”, in ragione del fatto evidente che i principi informatori di questo stile sono basati su un singolare miscuglio di decoro e grandiosità, di rigore formale e di sfoggio di pompa e fasto, che nel caso particolare degli arredi destinati alla corte assurge a celebrazione convinta della monarchia. Il carattere curiosamente omogeneo che esprime la produzione di questo periodo, è probabilmente imputabile al fatto che un’identica necessità iconografica fu avvertita nel contempo dai personaggi di maggior peso politico allora in Francia: dal cardinale Mazzarino al ministro Colbert. A questo si aggiunga che l’unitarietà che contraddistingue la produzione, la prolungata e polivalente attività di personalità artistiche dominanti come il pittore Charles Le Brun o gli architetti Louis Le Vau e Jules Hardouin-Mansart. Si aggiunga infine l’innumerevole mole di committenze legate a un programma edilizio di portata straordinaria, dal castello di Vaux-le-Vicomte al complesso di Versailles.

 

 

                                    BAROCCHETTO
                      dagli Anni Venti agli Anni Sessanta-Ottanta del Settecento


 Con questo termine si designa, per quanto specificatamente attiene alla mobilia, una parte della produzione eseguita in Italia nel periodo di tempo compreso tra l’epoca rococò e la prima fase del neoclassicismo. Si caratterizza per l’impianto formale e

decorativo ancora rigidamente in adesione ai dettami cari al periodo barocco (da cui il termine barocchetto) e alle mode Luigi XIV e tuttavia vi si colgono i nuovi tempi nell’adozione di volumetrie più contenute, moduli decorativi più eleganti, spesso direttamente ispirati alla moda francese, ma sempre eseguiti con rigorosi principi di simmetria ornamentale. Da taluni studiosi è definito il Rococò italiano, ma non me ne dico convinto, in ragione dell’evidenza che mobilia eseguita in Italia e limpidamente rocaille, non è certo rara a documentarsi. 
La tendenza ad assimilare novità formali e volumetriche ma non a recepirne l’elaborazione ornamentale trova naturale spiegazione in Italia nel fatto che in questo secolo la grande aristocrazia conosce un irrefrenabile declino politico e economico. Se nel secolo precedente vi fu gran profusione di arredi destinati a ornare dimore di recente costruzione, per mostrare con orgoglio la potenza della famiglia committente, nel Settecento si bada piuttosto ad aggiornare il palazzo con la sola mobilia strettamente necessaria alle nuove esigenze imposte dalla moda o da necessità funzionali. Si mantiene il vecchio apparato scenografico e il nuovo non deve troppo contrastare.

 

                              

                                                  Neoclassicismo

 
                Dagli Anni Quaranta-Cinquanta del Settecento agli Anni Venti-Trenta dell’Ottocento 


  Questo periodo storico comprende una prima fase propriamente definibile di Stile Luigi XVI. Solo in un secondo momento, con il maturare delle mode archeologiche, si formula e si codifica una nuova visione della civiltà d’arredo, ora compiutamente ascrivibile allo Stile Neoclassico. Nei fatti, entrambe le tendenze convivono all’unisono fino agli ultimi anni del Settecento.  
A pieno titolo, in ambito di ebanisteria, rientrano nell’epoca neoclassica anche gli stili Direttorio, Retour d’Egypte, Consolare e Impero. 

 

 

                                    Stile Luigi XVI

                              

                                       dagli Anni Sessanta agli Anni Novanta del Settecento


 Lo stile Luigi XVI precede di molti anni l’avvento al trono del sovrano da cui deriva il nome. Il germe che innesca il fenomeno del Neoclassicismo è da ricercarsi nel rinnovato interesse per la cultura classica dovuto al grande clamore che in Europa suscitarono i reperti archeologici riportati alla luce negli scavi di Ercolano e Pompei, rispettivamente nel il 1738 e il 1748. La stessa corte di Francia, partecipa alla diffusione di oggetti riecheggianti l’antichità fin dall’ultimo periodo del regno di Luigi XV. Madame de Pompadour e la Du Barry partecipano attivamente alla diffusione del nuovo gusto, che tra i suoi vati trova in Bachelier un valente animatore. 
La rinnovata prevalenza della compostezza delle forme geometriche che caratterizzano la mobilia di epoca neoclassica, viene accolta come un salutare antidoto alle formulazioni più libere e capricciose imposte dai dettami Rococò, ormai degenerato in rutilanti esercizi di bizzaria. Il passaggio dal “genre pittoresque” al “gout grec” non trae origini da scelte esclusivamente formali, ma piuttosto da un preciso orientamento ideologico in base al quale la civiltà greca e quella romana assurgevano a paradigma di ogni perfezione etica a estetica. 
E’ bene considerare fin da subito che per ciò che riguarda le arti decorative, lo Stile Luigi XVI non si traduce in mere imitazioni: la fantasia dell’artista opera libere interpretazioni desunte dagli esempi del mondo greco-romano, etrusco o egizio, da cui solo la metrica architettonica viene riproposta con stretta osservanza. In tal senso, si osservi come solo a partire dagli anni Settanta-Ottanta in ebanisteria si assiste al tramonto della fioriturica pittorica a intarsio, in favore di modelli a prevalenza di ornato geometrico. Nel campo di nostro specifico interesse gli inizi dello stile Luigi XVI datano intorno al 1765. Già nel testamento della Pompadour trovano prima menzione “commodes à la grecque”. Ma si tratta di una tendenza ancora non consolidata, tanto da poter affermare che solo agli inizi dell’ottavo decennio si nota una generale inversione di interesse per l’ancor predominante gusto rocaille, e se le linee strutturali del mobile tendono a irrigidirsi, non di rado l’ornato risulta ancora movimentato se non ridondante, si pensi al frequente uso della tarsia ancora disposta in florilegi ricchi di essenze lignee esotiche. Fino alla fine degli Anni Ottanta si è dunque ancora ben lungi dal verificare un’adesione incondizionata all’austerità classica (di fatto, fin quasi alle soglie della Rivoluzione mai verrà meno l’influenza del gusto rocaille).Tuttavia, già intorno al 1775 trova sempre maggiore consenso un arredo improntato a un gusto più semplice e sobrio, anche se sempre di raffinata esecuzione e attento ai più minuti dettagli, caratterizzato per il rigore geometrico dell’ornato e per la nitidezza dei volumi.

 

 

                                   Stile Neoclassico

 

                  dagli Anni Sessanta-Settanta agli Anni Novanta del Settecento


Il maturare delle tendenza già introdotte durante lo Stile Luigi XVI, gradualmente portò all’insorgere di una produzione più improntata a un’aderente riproposizione di arredi in marcata adesione al repertorio archeologico. Alla base di questo fenomeno sono da ricercarsi testi a stampa che trovarono larga diffusione a partire dagli scavi di Pompei e Ercolano. Per quanto concerne la pubblicistica ispirata al mondo greco, le descrizioni dei monumenti edite da R. Dalton (1749, 1751-52) a cui seguirono quelle di Le Roy (1758), Stuart e Revett (1762) e di Choisel-Gouffier (1782) influenzarono profondamente il gusto del tempo, mentre il mondo romano trova felice epigono nel veneziano G.B. Piranesi, che da Roma rivendica il primato architettonico dell’Urbe nella sua “Magnificenza ed Architettura de’ Romani” del 1765. Il Piranesi, incisore e architetto, ebbe immenso prestigio in Europa e il suo studio in via Lata divenne meta d’obbligo per artisti ed eruditi del tempo, per l’ultima volta nella sua storia, Roma tornò ad essere capitale delle arti. L’anno precedente J.J, Winckelmann pubblica la sua “Storia dell’arte presso gli antichi”, un testo che divenne una sorta di bibbia dell’estetica Neoclassica. Infine, la pubblicazione tra il 1762 e il 1779 in sei volumi illustrati delle “Le pitture antiche di Ercolano” concorsero alla definitiva definizione del gusto neoclassico in senso archeologico. 
Con il diffondersi del verbo archeologico, anche gli arredi tendono ad assumere una rinnovata veste ornamentale, una novità che ben si riconosce nell’affollarsi su superfici - che certamente permangono lineari, tonde o ovali - di elementi plastico-scultorei in omaggio all’architettura classica. Protomi, divinità, bucefali, clipei, strali, rosette, fregi militari, motivi a candelabra, foglie d’acanto e l’intero pantheon decorativo greco-romano prende a ornare parti strutturali come pilastrate, cinture e crociere. L’amore per l’ornato a intaglio introduce una nuova tipologia di gamba, quella a unicorno o a faretra scanalata, che diverrà uno degli emblemi-firma della mobilia neoclassica e verrà definita gamba “a consolle”. La consol da parata sarà l’arredo di gran lunga più alla moda in questa fase storica (gingerà fin quasi verso la fine del secolo nella foggia a gambe raccordate da traversa a mezzo di dadi montanti), insieme a un gran numero di sedie, poltrone e divani che allietano gli incontri mondani della società bene permeata dal razionalismo degli “enciclopedisti”. Le sedie da parata (o meublant), destinate alle pareti, presentano il caratteristico schienale diritto à la reine, mentre sedili meno voluminosi sono disposti al centro della stanza, e vengono detti courrants perché all’occorrenza facilmente spostabili. Divani e bergerès di norma montano gambe ribassate e solo con l’ausilio di comodi cuscini ricolmi di piume si riguadagna l’altezza di sedie e poltrone. Già nel 1768 l’ebanista Delanois consegna al conte d’Orsay delle poltrone a schienale ovale e gambe scanalate, destinate a incontrare grande fortuna tipologica nei decenni a seguire. Particolare favore viene accreditato alla scrivania a vista, detta bureau-plat, che assurge quasi a status simbol del periodo e se è opera di un maestro attivo in centri rinomati, sarà certamente provvista, di vani segreti o piani di fuoriuscita per consentire l’estensione del piano scritturale o l’appoggio di oggetti e candelabri.   
La commode conosce grande successo e diviene il mobile principe della casa di epoca neoclassica, spodestando in importanza perfino il trumeau che in epoca Luigi XV era stato l’arredo principe, perfino la credenza opportunamente trasformata, acquista le sembianze della commode. I colori degli arredi sono di preferenza il bianco, il giallo paglierino e l’oro, sebbene anche il rosso pompeiano, l’azzurro indaco e il verde pallido non manchino di sortire la preferenza della committenza. In questi anni la mobilia laccata conosce una così capillare diffusione da non trovare poi in periodi successivi momenti di auge così perentoria. Anche in questa fase si accorda gran favore all’uso del piano marmoreo, con larga preferenza al bianco di Carrara.

 

 

                                 Stile Retour d'Egypte

 

                                                    dal 1798 al 1815

 

Questo stile ebbe larga eco in Francia e in Europa e origina dalla fulminea e fortunata campagna militare dell’ancor giovane generale Bonaparte in terra d’Egitto, nel 1799. La moda delle “egizianerie” aveva già in Italia trovato un precedente interprete nell’incisore Giovan Battista Piranesi, ma la vasta diffusione che ebbe anche nel mobile l’ornamento egiziano trova il principale trampolino di lancio con la pubblicazione nel 1802 del “Voyage dans le Basse et la Haute Egypte pendants les campagnes du Général Bonaparte” di Dominique Vivant Denon, il barone-egittologo che seguì con uno stuolo di artisti-disegnatori il futuro imperatore nella terra dei faraoni, copiando diligentemente ogni vestigia archeologica che fu loro possibile fissare nella carta. 
Se fu in particolare nel primo decennio dell’Ottocento che gli arredi si “vestirono” di ornati di sfingi, palmette, urne funerarie, cariatidi, profili egizi, obelischi, non di rado in simbiosi con elementi greco-romani, è bene rilevare che fino alla fine degli anni Trenta del XIX secolo, quindi ben oltre la Restaurazione, la moda del Retour d’Egypte ispirò ebanisti e committenza. In Italia questo fenomeno trovò particolare consenso a Roma e a Napoli. E’ inoltre da menzionare la particolare interpretazione che contagiò l’arredo inglese, dovuto all’inventiva di Thomas Hope. 

 

 

                                                Stile Consolare

 

                                                                 dal 1799 al 1804


Nel 1799, con la prolclamazione di Napoleone Bonaparte Primo Console, la tendenza - già assimilata durante il Direttorio - incline a concepire arredi improntati a sobria linearità, con mobilia vestita di colori a tinte scure la cui diffusione aveva trovato come protagonista indiscusso il legno di mogano, diviene una vera e propria moda mediatica. Il nuovo gusto peraltro interpreta alla perfezione quel processo di vittoriosa identificazione culturale-militaresca che le guerre napoleoniche lentamente diffondevano nel subconscio collettivo francese. Supporti e gambe sagomati “a sciabola” introdotti dall’ebanista Jacob, trovano ora impiego generalizzato, i venti di guerra che ovunque vedevano trionfare il tricolore del Bonaparte contagiarono l’intero modo di concepire l’arredo, con sale che talvolta imitavano (anche negli parti ad affresco) vere e proprie tende d’accampamento militare, e sempre più l’orientamento degli ebanisti in ragione di precise richieste della committenza di potere fu indirizzato verso produzioni in sintonia con modelli di evidente richiamo romano-imperiale. E’ in questa fase che trova la sua prima comparsa il piede tornito “a triclinium”, a reggere letti, divani, dormeuse e finanche in commodes e comodini. Ai lati del letto, in genere alla polacca e sovrastati da baldacchini e tendaggi, si diffuse la moda di abbinare comodini a colonna, che in un qualche modo richiamavano la forma dei tamburi militari che guidavano la marcia dell’invicibile armata. Sempre in epoca consolare si confermò nella camera da letto la presenza della psiche, nella camera da letto si assiste all’introduzione nell’armadio di un 
grande specchio nell’anta centrale.Tra le sedie conosce larga fortuna la tipologia detta “curiale” nella quale le gambe si compongono con i braccioli a formare una X. 
Dopo i primi anni seguiti alla crisi della Rivoluzione, rifiorì sulla mobilia l’ornato a guarnizione bronzea che nel primo periodo del Direttivo di rado comparvero a impreziosire superfici d’arredo. Tra gli ebanisti-bronzisti, divenne celebre celebre Pierre-Philippe Thomire, un’artista a cui peraltro spetta l’ introduzione di importanti innovazioni tecniche relative alla fusione del bronzo e la cui fortuna commerciale lo portò a impiegare centinaia di lavoranti.
E proprio in epoca consolare è la guarnizione bronzea dorata che diventa protagonista indiscussa degli arredi del tempo: cinture, pilastrate, gambe, crociere, predelle, braccioli e quant’altro sono rifiniti da clipei, stelle, strali, fregi, acroteri e divinità del pantheon greco, romano, etrusco o egizio, sovente lavorate a traforo entro motivi a losanga. Tra i fregi del periodo, particolarmente tipizzanti furono quelli “a corona consolare” e “a strale di Zeus”. 
Oltre al sempre rinomatissimo mogano, di norme disposto a lastronature speculari a formare con le venature (o piume) contrapposte il caratteristico effetto “ad ali di farfalla”, trovò buona diffusione anche la betulla e la radica di tuja. 
In Italia, dove solo raramente si utilizzò il pregiato mogano, si continuò ad eseguire mobilia con legni di frutto e sempre diffuso rimase il massello di noce. E’ bene sottolineare il fatto che lo stile consolare fu massimamente una moda che attecchì in Francia, in Italia sortì solo echi riflessi e quasi del tutto ininfluenti

 

 

                                                                  Stile Impero

 

                                                                 dal 1804 al 1815


 Fu questo uno stile che ebbe dominio indiscusso nell’arte francese ed europea durante il primo quarto del secolo, protagonista assoluto ne fu l’ultimo dei grandi sovrani mecenati, quel piccolo corso che nel 1804 in Notre Dame conobbe la propria apoteosi imponendo alla Chiesa l’inconorazione a Imperatore, un riconoscimento che per certi versi era stato concesso così incondizionatamente al solo Carlo Magno, mille anni prima.
Napoleone seppe riconoscere all’arte la funzione primaria di veicolo di diffusione della propria fortuna politica e a buon ragione si può affermare che i più grandi artisti della sua epoca furono al suo servizio, che con un imponente programma di commissioni pubbliche favorì la ripresa delle attività artigianali. 
Protagonisti indiscussi della civiltà dell’arredo napoleonico furono due architetti, Charles Percier e Pierre Fontane, che seppero mirabilmente combinare le esigenze di fasto e grandiosità, espressi con elementi simbolici e allegorici, con la ricerca di grazia, intimità e leggerezza ben ravvisabile in ogni interno riconducibile alla loro attività, interventi che abbracciarono ogni minuto particolare delle arti decorative, dal mobile al bronzo, dalla porcellana agli argenti. Tra i motivi “firmati” dai due architetti troviamo la N incorniciate entro serti di alloro, le api, le aquile, i cigni araldici, disposte in sapienti equilibri tra ornati ancora a valenza archeologica, o con reminescenze egiziache. 
Con l’Impero, nel mobile giunge a definitivo compimento la rigorosa ricerca filologica delle forme e delle decorazioni classiche; in questa fase storica sono ben riconoscibili due diverse tendenze: una eroica, grandiosa e solenne, l’altra contenuta, discreta, privata. L’insieme determina arredi dall’eleganza sobria e misurata, pur nel fasto programmatico che si addice alla corte imperiale
L'Impero in Italia
La mobilia italiana del primo Ottocento presenta uno sviluppo stilistico che corre, per così dire, lungo due binari paralleli. Il primo riecheggia direttamente il gusto Impero imposto da Parigi; il secondo, più originale anche se non sempre di altissimo livello, elabora i modelli francesi secondo le tradizioni locali.
Nel nostro Paese lo stile Impero resistette più a lungo nei palazzi, forse perchè tanti stati italiani erano diventati per un po' proprietà dei membri della famiglia Bonaparte. Tutti e cinque i fratelli e le sorelle di Napoleone, in un periodo o in un altro, governarono parti della penisola e lo stesso dicasi del figliastro dell'Imperatore. 
Essi arredarono, secondo lo stile francese, gli interni dei loro palazzi, utilizzando mobilio francese. I falegnami e gli ebanisti locali, prendevano quest' ultimi a modello per i loro manufatti. Quando poi i palazzi ritornarono nelle mani dei precedenti occupanti il loro arredamento era a tal punto più attraente di quello preesistente, che venne conservato e lo stile francese continuò ad essere imitato.
Dai primi dell'Ottocento si pervenne anche in Italia ad una pratica più accurata di costruzione del mobile così che, diversamente che in passato, l'interno e le parti non a vista del mobile di qualche importanza presentano, come negli esempi inglesi e francesi , una rifinitura impeccabile.
Le botteghe tradizionali assumono in questo periodo nuove istanze e nuove ambizioni.
Gli artigiani cercano, diversamente che in passato, di lasciar memoria di sé,  sono assistiti nel loro lavoro da disegnatori, e professori d'ornato delle accademie da poco istituite; pubblicano raccolte di disegni e di modelli seguendo modelli d'oltralpe, mentre all'avanzata sociale della borghesia corrisponde una maggior richiesta di mobilio raffinato, così le imprese artigianali si adeguano trasformando tecniche e attrezzature per dare l'avvio ad un assetto di tipo industriale.L'Impero in Italia
La mobilia italiana del primo Ottocento presenta uno sviluppo stilistico che corre, per così dire, lungo due binari paralleli. Il primo riecheggia direttamente il gusto Impero imposto da Parigi; il secondo, più originale anche se non sempre di altissimo livello, elabora i modelli francesi secondo le tradizioni locali.
Nel nostro Paese lo stile Impero resistette più a lungo nei palazzi, forse perchè tanti stati italiani erano diventati per un po' proprietà dei membri della famiglia Bonaparte. Tutti e cinque i fratelli e le sorelle di Napoleone, in un periodo o in un altro, governarono parti della penisola e lo stesso dicasi del figliastro dell'Imperatore. 
Essi arredarono, secondo lo stile francese, gli interni dei loro palazzi, utilizzando mobilio francese. I falegnami e gli ebanisti locali, prendevano quest' ultimi a modello per i loro manufatti. Quando poi i palazzi ritornarono nelle mani dei precedenti occupanti il loro arredamento era a tal punto più attraente di quello preesistente, che venne conservato e lo stile francese continuò ad essere imitato.
Dai primi dell'Ottocento si pervenne anche in Italia ad una pratica più accurata di costruzione del mobile così che, diversamente che in passato, l'interno e le parti non a vista del mobile di qualche importanza presentano, come negli esempi inglesi e francesi , una rifinitura impeccabile.
Le botteghe tradizionali assumono in questo periodo nuove istanze e nuove ambizioni.
Gli artigiani cercano, diversamente che in passato, di lasciar memoria di sé,  sono assistiti nel loro lavoro da disegnatori, e professori d'ornato delle accademie da poco istituite; pubblicano raccolte di disegni e di modelli seguendo modelli d'oltralpe, mentre all'avanzata sociale della borghesia corrisponde una maggior richiesta di mobilio raffinato, così le imprese artigianali si adeguano trasformando tecniche e attrezzature per dare l'avvio ad un assetto di tipo industriale.L'Impero in Italia
La mobilia italiana del primo Ottocento presenta uno sviluppo stilistico che corre, per così dire, lungo due binari paralleli. Il primo riecheggia direttamente il gusto Impero imposto da Parigi; il secondo, più originale anche se non sempre di altissimo livello, elabora i modelli francesi secondo le tradizioni locali.
Nel nostro Paese lo stile Impero resistette più a lungo nei palazzi, forse perchè tanti stati italiani erano diventati per un po' proprietà dei membri della famiglia Bonaparte. Tutti e cinque i fratelli e le sorelle di Napoleone, in un periodo o in un altro, governarono parti della penisola e lo stesso dicasi del figliastro dell'Imperatore. 
Essi arredarono, secondo lo stile francese, gli interni dei loro palazzi, utilizzando mobilio francese. I falegnami e gli ebanisti locali, prendevano quest' ultimi a modello per i loro manufatti. Quando poi i palazzi ritornarono nelle mani dei precedenti occupanti il loro arredamento era a tal punto più attraente di quello preesistente, che venne conservato e lo stile francese continuò ad essere imitato.
Dai primi dell'Ottocento si pervenne anche in Italia ad una pratica più accurata di costruzione del mobile così che, diversamente che in passato, l'interno e le parti non a vista del mobile di qualche importanza presentano, come negli esempi inglesi e francesi , una rifinitura impeccabile.
Le botteghe tradizionali assumono in questo periodo nuove istanze e nuove ambizioni.
Gli artigiani cercano, diversamente che in passato, di lasciar memoria di sé,  sono assistiti nel loro lavoro da disegnatori, e professori d'ornato delle accademie da poco istituite; pubblicano raccolte di disegni e di modelli seguendo modelli d'oltralpe, mentre all'avanzata sociale della borghesia corrisponde una maggior richiesta di mobilio raffinato, così le imprese artigianali si adeguano trasformando tecniche e attrezzature per dare l'avvio ad un assetto di tipo industriale.

 

 

                                                Stile Neogotico


                                                (Dal 1825 al 1830)

 

 

Una novità introdotta in periodo Restaurazione, di rilevante interesse anche in ragione dell'effettiva grande risonanza che seppe polarizzare, fu il recupero, per certi versi romantico, dello stile gotico. Il fenomeno che innescò questa nuova tendenza stilistica, fu l'incoranazione di Carlo X nel maggio del 1825 nella cattedrale di Reims. Per tale occasione, l'ornatista Hirtorff allestì addobbi goticheggianti dando involontariamente l'imput ad un'incontenibile mania che ben presto contagiò ogni tipo di arredo, dal più minuto oggetto d'arte applicata alle grandi sedie dall'alto dorsale "à la cathédrale". 
Il desiderio di medioevo originò interi arredi ispirati al repertorio iconografico gotico, ne è celebre testimonianza l'Oratorio nel padiglione di Marsan al Louvre, eseguito per la principessa Maria d'Orleans, figlia di Luigi Filippo. Fu un delirante (e per certi versi affascinante) rifiorire di pinnacoli, volte archiacute, motivi a pergamena, rosoni, clipei, spirali, girali e ogni altro emblema ornamentale che il misticismo dei secoli bui, aveva saputo tramandare nell'inconscio collettivo dell'europeo di metà ottocento. 
Sottolineo come il precoce insorgere di contaminazioni mutuate dal lessico rinascimentale, costituisce di fatto la prima prova provata di quel germe che più tardi originerà gli incontenibili effetti dell'Eclettismo Storicizzante, di cui lo stile Neogotico può dirsi a ogni evidenza il precursore. Tra i divulgatori dello stile gotico ebbe notevoli meriti il disegnatore Aimé Chenavard (1798-1838).

 

 

                                 Secondo Impero

                      

                                   (Dal 1848 al 1870)

 

 

 


Per più ragioni la mobilia di stile Secondo Impero è ad ogni evidenza facente parte di quella fase comunque definibile Eclettica, pur tuttavia, questo singolo fenomeno ebbe una vita propria di portata così significativa che a buon diritto merita una differenziazione e con giusta causa un capitolo a se stante. 
Viene così chiamato quel periodo compreso in realtà tra il 1852 con la nomina a imperatore di Napoleone III (già presidente in Francia fin dal 1848) e l'abdicazione dello stesso avvenuta nel 1870 al suono di cannonate prussiane. 

Stile Napoleone III (Dal 1848 al 1870)

Con Napoleone III imperatore, la Francia vive una stagione di straordinaria prosperità economica, un fattore che permise di ricostituire un'altrettanto formidabile macchina bellica. In breve si rivive il sogno che già fu del Bonaparte: la Francia grande potenza egemone europea. L'euforia e la grandeur trovano perfetta corrispondenza anche negli arredi che caratterizzarono il Secondo Impero. 
Certamente questo stile fiorì tra pulsioni eclettiche di diverso indirizzo, ma l'autocelebrazione della rinnovata potenza francese sospinse proprio a preferire quella mobilia che più in nel passato si era contraddistinta per qualità e perfezione tecnica: quella Luigi XVI e Neoclassica, che in Francia per sfarzo e raffinatezza aveva finito per superare anche i capolavori realizzati nel Secondo Seicento per Luigi XIV. La realizzazione pratica di un organigramma d'arredo così ambizioso era peraltro tecnicamente possibile grazie alle nuove tecnologie e alla facilità di reperire materiali un tempo pregiatissimi a costi ora praticabili. Essenze lignee pregiate come il palissandro, l'ebano e altri prodotti esotici tornarono a impreziosire ogni tipologia di mobile, ma disposti con spessori di così ridotta millimetria da incidere sul costo finale ben poco. Lo scheletro del mobile ora era eseguito serialmente, in centinaia o migliaia di esemplari, con parti montanti in faggio e fondi e soffitti in lamellare o panforte (già introdotto fin dagli Anni Quaranta), spesso anche gli elaborati giochi a intarsio, a bouquets o a marchetteria era prestampati con processi meccanici seriali. 
A questo quadro generale si aggiunga che l'ornamentazione metallica, tanto cara alla committenza di Secondo Impero, era ora sbrigativamente stampata a mezzo di fusione a stampo seriale e successivamente dorata con placcatura mediante galvanostegia (rivoluzionaria innovazione ideata nel 1844 da Ruolz). In quest'epoca si realizza l'antico sogno illuminista di produrre mobilia alla portata di ogni ceto sociale. 
Se l'industrializzazione consente di elevare all'ennesima potenza la produzione di massa è peraltro vero che ancora riescono a prosperare ebanisti degni di emulare in bravura i grandi maestri del passato: si pensi al celebre serre-bijoux eseguito per la regina Eugenia da Fossey, ora al Museo di Compiègne. Sarà peraltro Eugenia stessa a stimolare la produzione del tempo verso revival di mode Luigi XVI, tanto era affascinata dalla figura di Maria Antonietta. Relativamente all'esecuzione di mobilia sfoggiata o aulica, è emblematico il ritorno in auge dello stile Boulle (ovvero di arredi la cui superficie era rivestita di elaborati intrecci arabescati, con alternanza di lamine di ottone su sfondi in tartaruga, a imitazione di modelli eseguiti da Charles André Boulle, grande ebanista al servizio del Re Sole, moda che in verità vanta origini che datano fin agli Anni Trenta dell'Ottocento: lo stesso re Luigi Filippo ne commissionò un gran numero nel 1837, allorquando si provvide ad adibire Versailles a sede museale). Nondimeno, buona parte degli ebanisti attivi in questo secolo offrirono nei loro cataloghi una vasta selezione di mobilia incrostata alla moda Boulle. 
Si è dunque compreso come tendenze tardo settecentesce e finanche Rococò fossero le predilette dal pubblico del tempo, talvolta eseguite come pedisseque copie ma altrettanto spesso concepite e ideate con gran sfoggio di fantasia. Nascono proprio in questo periodo tipologie prima mai segnalate: l'indiscret, il borne, bizzarri puofs, e in ogni dove gran affollamento di appliques in bronzo dorato o lumeggiato. 
Tra gli ebanisti di maggior successo segnalo Fischer, Soriani, Tahan, Monbro, Wassmus, Charon, Peindrelle e Winckelsen. 
In Italia lo Stile Napoleone III ebbe dapprima effetti insignificanti, imponendo arredi di imitazione Luigi XVI con valenza ornamentale solo risolta a intaglio e del tutta priva di orpelli bronzei, in ossequio a un gusto più sobrio che sempre caratterizzerà la committenza italiana. Solo nei primi decenni del Novecento trovò importanti sbocchi commerciali nel nostro paese il mobile "alla francese".

 

 

                                                                       Stile Liberty
 

                                                                      (Dal 1895 al 1914)

 

Lo stile Liberty - con il quale generalmente si suole definire l'intera produzione eseguita nell'arco compreso tra l'ultimo decennio dell'Ottocento e i primi vent'anni del Novecento - nella realtà in Francia assunse il nome di Art Nouveau, in Austria di Secession Art, in Germania di Jugendstil, in Inghilterra di Modern Style, in Spagna di Arte Joven, in Italia di Floreale, mutua la sua dizione da un negozio aperto a Londra verso la fine dell'Ottocento, specializzato nella produzione di stoffe e tessuti, la cui produzione era caratterizzata da disegni stravaganti e d'avanguardia. L'insegna "Liberty" di questa ditta divenne ben presto sinonimo di bizzarro, curioso, anticonvenzionale, e per estensione questo concetto fu poi utilizzato per designare tutto quel periodo artistico, in senso ovviamente dispregiativo. Certo è che in quegli anni di Belle Epoque, la borghesia era quanto mai incline ad accogliere nuove forme d'arte e d'arredo che finalmente emancipassero il quotidiano da quelle forme stucchevoli e per certi versi lugubri che avevano invece contraddistinto la produzione eclettica. In Francia, l'Art Nouveau prese nome dall'insegna del negozio che aprì Samuel Bing nel 1895 a Parigi, intorno a questa curiosa figura di imprenditore, si radunaro artisti del calibro di Bonnard, Pissarro, Seurat, Toulouse-Lautrec e nella grande Esposizione Universale di Parigi del 1900 la ditta Bing registrò un successo a dir poco strepitoso. In controtendenza al naturalismo floreale perorato da Gallé, nell'atelier di Bing spicca per un estremo rigore lineare, ogni compiacenza decorativa viene assottigliata ai minimi termini, e si perviene a un'eleganza tanto incisiva quanto spoglia. Con Alexandre Charpentier e il suo gruppo "L'Art dans Tout" l'arredo si ridelinea secondo orientamenti formali che inneggiano all'astrattismo e ormai preludono all'Art Decò, una tendenza che trova consensi e conferme anche nella produzione a secca geometria lineare di Plumet. 
Altre nazioni parteciparono attivamente alla creazione di fermenti Liberty, si pensi agli stati tedeschi con personalità di punta come Bernhard Pankok, August Endell o Joseph Hoffmann, al Belgio con Gustave Seurrier-Bovy o con un gigante come l'architetto-designer Henry van de Velde, capace di inventare arredi che ancor oggi sono di una modernità più che attuale, la Spagna trovò in Antonio Gaudì il suo interprete più controverso e fantasioso, mentre l'Italia pur con talune manifatture degne di una qualche nota e singoli ebanisti che seppero trovare qualche momento di effimera celebrità, non riuscì mai a esprimere alcunché di originale e in genere il Floreale italiano è poco più che una scopiazzatura mal riuscita delle mode importate dalla vicina Francia

 

 

                                                   Stile Art Decò (Dal 1914 al 1930)

 

 

Se nello stile precedente la manualità artigianale era stata una condizione sine qua non ora si è tornati ad affermare il predominio e la necessità di servirsi di mezzi meccanici seriali, come pretende a grandi numeri la clientela nella sua stragrande componente di massa, solo in rade occasioni e per committenza di capaci possibilità economiche si giunge a creare manufatti di particolare interesse estetico. 
In questi anni muore, e forse per sempre, quella grande tradizione d'arte lignaria che fin dal medioevo aveva disseminato la storia di grandi capolavori. 
Ora più che al singolo artefice l'esecuzione di un modello è demandata al designer o a architetti sovente di fama internazionale, come Le Corbusier o Alvar Aalto o ancora a volgarizzazioni di moduli stilistici viennesi elaborate da disegnatori finlandesi e tutto, comunque, rigorosamente eseguito in scala industriale. Il pubblico fin da questi anni è plagiato dai mass media che a tavolino elaborano il successo di una linea o di una marca, all'insegna di arredi diremmo oggi "griffati", ma sovente tutt'altro che comodi e funzionali e spesso di moda resa effimera, non appena per esigenze produttive si è pronti a lanciare sul mercato nuove illusioni medianiche. 
Certo non mancano isole felici, come nel caso di arredi la cui firma è legata al nome del bravissimo Eero Saarinen, ma dal primo dopoguerra a oggi risulta evidente che molto si è perso e poco rimane da tramandare a testimonianza dei giorni nostri alle generazioni future.

           

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